Terza Parte
capitolo 1
†
Urali meridionali, 7 settembre, ore 07.05
Monk spingeva alla meglio l'imbarcazione nella palude con una pertica. Erano stati inseguiti tutta la notte. Tenendo ferma la pertica nella piega del braccio monco, manovrava con la mano sana. La zattera scivolava in silenzio nel paesaggio palustre.
Durante la notte, i suoi occhi si erano adattati alla luce pallida della luna. Avevano evitato per un soffio l'idroscivolante parecchie volte. Il ronzio dell'elica e il potente proiettore avvertivano Monk con un anticipo sufficiente a cercare riparo. Sopra l'acqua aleggiavano anche densi banchi di nebbia, che contribuivano a nasconderli.
Tuttavia una volta era mancato poco che non li prendessero, quando Monk aveva calcolato male una corrente pigra e aveva urtato un albero con un forte schianto. L'idroscivolante si era precipitato nella loro direzione. Monk aveva fatto del suo meglio per nascondersi sotto le fronde di un salice, ma sarebbero stati di certo scoperti se gli inseguitori avessero cercato bene.
La loro salvezza era giunta da un luogo inaspettato.
Quando l'idroscivolante aveva rallentato, Kiska aveva stretto le mani davanti alla bocca, tirato un profondo respiro ed emesso il cupo bramito di un alce. Avevano udito i richiami a intervalli durante tutta la notte. Monk aveva rammentato quando la bambina gli aveva dimostrato la sua abilità: aveva l'orecchio assoluto e poteva imitare i versi degli uccelli con straordinaria precisione. Gli inseguitori avevano continuato a cercare, ma meno a fondo, e dopo un minuto erano passati oltre.
Non potevano contare sempre sulla fortuna, tuttavia. E, peggio ancora, Monk sapeva che si stavano avvicinando piano piano al lago Karacaj e alle sue scorie radioattive. L'idroscivolante attraversava le zone più sicure della palude, il che lasciava a loro un'unica direzione: il lago.
Ogni ora Monk si arrischiava ad accendere un cerino per dare un'occhiata ai dosimetri. Il rosa di preavviso era diventato completamente rosso. Konstantin lo aveva avvertito che un'intera giornata di esposizione a quel dosaggio era letale. Mentre Monk spingeva con la pertica tra mucchi di erbacce e alghe galleggianti, sentì un formicolio alla pelle al pensiero che si stava avvelenando un po' alla volta.
E i bambini erano ancora più sensibili.
I tre dormivano a sprazzi, rannicchiati con Marta sulla zattera. La paura li faceva sobbalzare a ogni gracidio e a ogni grido che echeggiava nella palude ammantata dalla notte. Alla fine Marta era salita sugli alberi. Aveva fatto così a intervalli: una volta aveva persino attirato gli inseguitori nella direzione opposta facendo versi. Il diversivo della scimpanzè aveva fatto guadagnare loro un'ora buona di respiro.
Era un animale molto furbo.
Monk pregò che lo fosse abbastanza, perché un pericolo più grande dell'avvelenamento da radiazioni incombeva su di loro.
A est, le prime luci dell'alba cominciavano a schiarire il cielo buio. Senza il favore della notte, sarebbero stati scoperti presto. Per sopravvivere, dovevano trovare il modo di seminare i loro inseguitori.
Ciò significava lasciare una scia di briciole di pane.
Konstantin e Kiska avevano fatto a pezzetti gli involucri delle loro barrette proteiche e raccolto le bottiglie d'acqua vuote. Mentre Monk si apriva un passaggio tra le erbacce, lasciando una chiara pista in mezzo alla vegetazione, i due bambini avevano buttato i rifiuti nell'acqua.
«Senza esagerare», li aveva avvertiti Monk sottovoce. «Sparpagliateli di più.» Monk aveva passato l'ultima ora a cercare il punto migliore nella palude buia. Alla fine l'aveva trovato: una lunga ansa, fiancheggiata da fitti boschetti di salici e da macchie scure di abeti. Il loro tempismo doveva essere perfetto. Poteva contare su un solo tentativo. Ma, con l'altra riva ancora a tre chilometri buoni di distanza e l'alba ormai prossima, sarebbero stati spacciati se non avessero corso il rischio.
L'ultimo componente del loro gruppo, Pètr, sedeva al centro della zattera, abbracciando le gambe raccolte al petto. Dondolandosi, fissava la poppa dell'imbarcazione, come se guardasse i suoi amici intenti a spargere le briciole di pane. Ma Monk sapeva che il suo sguardo si spingeva molto più lontano.
Quando giunsero in fondo all'ansa palustre, Monk spostò la pertica a prua e la spinse giù. La puntellò con la spalla e fermò la zattera. Era lì che avrebbero opposto resistenza.
Borsakov era seduto accanto al pilota dell'idroscivolante. I sedili erano montati in alto, sopra lo scafo di alluminio a fondo piatto. Davanti a loro erano accovacciati due dei suoi soldati: uno azionava il proiettore di prua, l'altro imbracciava un fucile, pronto a sparare.
Dopo cinque ore di ricerche, a Borsakov dolevano le orecchie per tutto quel rumore. Alle sue spalle, il motore della grande elica rombava. La protezione di metallo delle pale era rotta e sferragliava e sbatacchiava a ogni curva. Il getto dell'elica scuoteva le canne e le fronde dietro l'imbarcazione.
Il pilota indossava l'unica cuffia disponibile. Teneva una mano sulla barra di comando, l'altra sull'acceleratore. L'odore di fumo e di gasolio copriva i miasmi umidi di muschio della palude. Attraversarono con lentezza una zona poco profonda di acque libere. Il proiettore scrutava le canne che orlavano i bordi.
Durante la notte, avevano visto alci selvatici, avevano spaventato aquile facendole volare via dai nidi, erano passati davanti a dighe di castori e avevano attraversato sciami d'insetti. Il proiettore dell'imbarcazione aveva fatto riflettere migliaia di occhi più piccoli: gli abitanti della palude.
Ma non avevano trovato nessuna traccia dei fuggitivi.
E, con l'ultima tanica di carburante, avevano ancora...
Il" grido di una scimmia coprì il rombo del motore. Era giunto da destra. Anche i soldati a prua lo avevano udito. Il proiettore e il fucile si girarono di scatto in quella direzione. Borsakov toccò la spalla del pilota e puntò il dito.
In uno sprazzo di luce, qualcosa attraversò uno stretto varco fra la vegetazione, scomparendo nella foresta. Borsakov sapeva che coi bambini era scomparso anche uno degli animali del laboratorio. Una scimpanzè.
Il motore rombò più forte quando il pilota spinse l'acceleratore. L'imbarcazione sfrecciò verso il varco, scivolando su un cuscino d'aria, e rallentò quando raggiunsero il limitare delle acque libere. Lì le canne erano piegate, dove qualcuno si era fatto largo per raggiungere un canale laterale.
Finalmente...
Oltre il varco serpeggiava uno stretto canale, fiancheggiato da salici e soffocato da macchie di erbacce galleggianti. L'imbarcazione accelerò. Il proiettore perlustrava da una parte e dall'altra, fendendo l'oscurità. Il soldato armato di fucile allungò il braccio nell'acqua e raccolse una bottiglia di plastica vuota.
Qualcuno era sicuramente passato di lì.
Borsakov fece cenno al pilota di avanzare, sentendo che le sue prede non potevano essere lontane. Il canale si snodava tra lievi anse. L'imbarcazione lo percorse rapidamente, perlustrando a destra e a sinistra.
Il proiettore illuminò altri rifiuti: pezzetti di carta e bottiglie. Troppi. C'era qualcosa che non andava. Le sue prede non erano mai state così incaute. Sospettoso, Borsakov allungò la mano verso il pilota e gli strinse la spalla. Gli fece cenno di rallentare.
Monk udì il ruggito del motore ridursi a un rombo.
Acquattato coi bambini, vide comparire l'idroscivolante dietro l'ultima ansa del canale. L'imbarcazione rallentò visibilmente: andava troppo piano.
Male.
Il proiettore puntava avanti, scivolando sull'acqua proprio nella loro direzione. Sarebbero stati scoperti da un momento all'altro. La loro unica speranza...
Dal buio della foresta sulla sinistra, un'ombra si lanciò sopra l'imbarcazione. Passò in alto, evitando le pale, ma buttò sull'idroscivolante una grandinata di oggetti scuri che stringeva coi piedi.
La gragnola si abbattè sulla grande elica come un carico di bombe.
Le pallottole del fucile da caccia del capanno.
Monk le udì scoppiettare contro le pale. L'elica tagliò i bossoli di plastica, che non s'incendiarono, ma esplosero comunque con una sventagliata di pungenti pallini da caccia.
Si udirono grida, metà di sorpresa e metà di dolore, quando l'equipaggio fu colpito dai pallini di piombo volanti. Il pilota, sul sedile sopraelevato, cadde in preda al panico. Colpì la barra di comando e il motore si avviò con un ruggito. L'imbarcazione fece un balzo in avanti come una lepre morsa da un serpente, fuori controllo. Il pilota afferrò la barra di comando.
Il proiettore balenò nel canale e passò sopra di loro, illuminandoli con la sua luce intensa. Monk vide il secondo pilota gridare e puntare il dito.
Troppo tardi, amico.
I due soldati a prua furono scagliati d'improvviso all'indietro, andando a sbattere contro gli altri. In un groviglio di braccia e gambe, urtarono la protezione di metallo sulla poppa dell'imbarcazione. L'idroscivolante s'impennò e si avvitò nell'aria.
Monk udì un urlo agghiacciante di dolore e lo stridore a singhiozzi delle pale. Sangue e ossa schizzarono dietro l'elica come una scia di condensazione, e infine l'imbarcazione ricadde di peso nell'acqua, capovolta, con uno sbuffo di fumo e un rantolo soffocato del motore. Il proiettore continuò a far luce fuori dall'acqua buia.
Poco prima, con l'aiuto dei bambini, Monk aveva intrecciato la lenza del capanno sino a ottenere una corda trasparente grossa come un dito. Dopodiché l'aveva tesa attraverso il canale. La corda aveva abbattuto gli uomini e rovesciato l'instabile imbarcazione.
Dagli alberi sopra la zattera, Marta si lasciò cadere sul fondo piatto di legno. Pètr corse subito ad abbracciarla. La scimpanzè si accovacciò, ansimando. Nonostante ciò, abbracciò Pètr. Tuttavia fissava Monk, con occhi vitrei e luminosi nella luce della luna.
Lui le fece un cenno col capo, grato, ma al tempo stesso un po' nervoso.
Aveva attirato l'idroscivolante su per il canale, con le tracce che avevano lasciato. Il bombardamento di Marta avrebbe dovuto solo distrarli, per impedire che vedessero la corda tesa attraverso il canale.
La scimpanzè aveva fatto un ottimo lavoro.
Pètr la stringeva forte. Dopo aver spiegato il piano poco prima, il bambino si era seduto con Marta e le aveva mostrato le pallottole del fucile da caccia. Le aveva parlato con lentezza in russo, ma secondo Monk i due si comprendevano veramente a un livello molto più profondo. Alla fine, la scimpanzè aveva afferrato le pallottole con le dita dei piedi, aveva spiccato un salto tra gli alberi ed era scomparsa.
Monk spinse con la pertica la zattera nel canale successivo. Lì una corrente pigra li sospinse verso la riva lontana. Per quanto sollevato che la sua trappola avesse funzionato, Monk era sicuro che stavano andando incontro a un pericolo ancora più grande.
Ma non aveva altra scelta.
Ne andava della vita di milioni di persone.
Guardò Marta e i tre bambini. Per lui, senza più il ricordo di un'altra vita, erano tutto il suo mondo. Avrebbe fatto il possibile per proteggerli.
Mentre spingeva con più forza la zattera lungo la corrente, gli tornò alla mente il doloroso flashback che aveva avuto nel dormiveglia nel capanno.
Il sapore di cannella, labbra morbide...
Quale vita gli era stata rubata?
E sarebbe mai riuscito a riaverla?